“Sono qui dal 2012. Alcuni dei miei figli sono nati qui, in un caravan. Non sanno com’è la vita fuori dal campo, non hanno mai visto una casa”. “Siamo arrivati nel 2013, siamo stati un mese nel campo di Za’atari, poi siamo scappati. Non era sostenibile, vivevamo in tenda, avevamo poco cibo. D’estate il caldo era insopportabile”. Due esperienze a confronto, Minwer e M., uno risiede nel campo profughi di Za’atari, con i suoi otto figli. L’altro vive a Irbid con moglie e due figli. Una cosa li accomuna: sono due siriani scappati in Giordania dopo la guerra iniziata nel 2011. Il conflitto in Siria cova sotto la cenere e ha devastato il Paese e il suo ambiente. Uno studio recente documenta gli effetti del conflitto sulle foreste (il 20% è andato in fumo) e sulle falde acquifere, avvelenate dalle sostanze chimiche. Molte linee di approvvigionamento idrico sono andate distrutte e alcune aree ricevono il 40% di acqua in meno rispetto a undici anni fa.
La violenza e le condizioni di vita sempre più precarie hanno spinto sette milioni di persone a fuggire dal Paese. La Giordania accoglie oltre un milione di profughi siriani, arrivati tra il 2011 e il 2016, anno in cui la frontiera è stata chiusa. Solo 700 mila siriani sono registrati all’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati, e circa il 20% vive nei campi profughi di Za’atari, nel nord del Paese, o di Azraq, a sud. Gli altri vivono in abitazioni private (pochi) o in accampamenti di fortuna (molti). Anche la Giordania è in crisi. L’acqua scarseggia a causa della siccità e di un sistema idrico fragile. Questo incide sull’agricoltura, uno dei comparti principali dell’economia. L’arrivo di un milione di rifugiati ha sottoposto il sistema a un ulteriore stress, e sono loro i primi ad essere colpiti dalla scarsità d’acqua e dalla mancanza di lavoro.
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