di Salvatore Rondello
Qualche speranza di pace è arrivata dallo Yemen. La notizia di un possibile avvio dei negoziati tra i ribelli Houti e l’Arabia Saudita per porre fine alla guerra civile in Yemen è arrivata a fine della scorsa settimana. L’apertura al dialogo è stata facilitata dalla decisione del presidente yemenita Hadi di sollevare dall’incarico il vicepresidente al-Ahmar. La tregua di due mesi è entrata in vigore già lo scorso 3 aprile ed è stata accompagnata dalla decisione di Hadi, in esilio, di cedere il potere ad un nuovo consiglio direttivo, che si occuperà di giungere ad una soluzione politica finale. La composizione del nuovo consiglio direttivo è stata decisa di concerto con l’esecutivo dell’Arabia Saudita, un altro segnale della volontà di pace in Yemen.
Tuttavia, al di là delle dichiarazioni, alcuni osservatori prevedono la possibilità che la tregua annunciata dall’ONU si risolva in un nulla di fatto, considerando anche che i combattimenti non sono mai cessati: gli Houthi hanno recentemente ripreso ad insediare Marib, provincia ricca di fonti di energia. Bisogna quindi verificare se i ribelli Houthi siano realmente disposti ad una tregua permanente in futuro, nonostante i combattimenti siano diminuiti rispetto al passato. Una guerra civile che logora la popolazione locale da più di sette anni necessita, da parte di tutti gli attori coinvolti, di tempo, attenzione e disponibilità a muoversi nella stessa direzione. Le iniziative finora qui intraprese hanno ridotto notevolmente la violenza, come ha sostenuto l’attuale inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen Grundberg, ora però bisogna continuare di questo passo con decisione per evitare gli errori commessi nel passato.
Fino ad oggi ci sono stati almeno quattro tentativi di negoziazione. Nonostante ciò i combattimenti sono ripresi. In particolare, alla fine del 2018, il governo svedese del primo ministro Stefan Löfven favorì l’apertura di nuovi negoziati. Questi, portati avanti con forza dal diplomatico britannico e inviato Speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen, Martin Griffiths, non avevano come obiettivo principale la cessazione delle ostilità, in quanto era prima necessario riavvicinare le parti in lotta, ma la popolazione sperava in una modifica allo status quo. Da quel momento sono passati poco più di tre anni e il conflitto non si è fermato. Le trattative che si stanno svolgendo in questi giorni potrebbero infatti dare nuovo slancio al processo di pace e saranno condotte dal Consiglio presidenziale. Quest’organo è formato da forze lealiste yemenite sostenute da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti guidato da Al-Alimi, il quale è diventato consigliere del presidente Hadi nel 2014, con la supervisione delle Nazioni Unite. Egli ha recentemente dichiarato di auspicare “una pace duratura, giusta e globale che ponga fine a questa catastrofe, per stabilire un futuro sicuro per tutto il popolo yemenita”. Durante una visita in Arabia Saudita, ha poi annunciato la priorità di garantire i servizi alla popolazione locale.
In Yemen, l’80% della popolazione dipende da aiuti umanitari. Lo scorso dicembre l’ONU aveva annunciato di dimezzare le razioni di cibo destinate ai bisognosi del paese per mancanza di fondi. In una situazione già difficile, aggravata da una perdurante crisi economica, i ribelli Houthi ostacolano la distribuzione di aiuti umanitari nel paese, azione che nel 2021 si stima abbia privato 10,9 milioni di yemeniti del fabbisogno giornaliero necessario, secondo un rapporto delle Nazioni Unite, a causa del divieto di movimento. L’interruzione delle operazioni militari, dunque, non produce un effetto positivo diretto sulle condizioni di vita della società, considerando che gli operatori umanitari yemeniti riscontrano sempre più ostruzioni nella distribuzione di aiuti alla popolazione locale, che da più di dieci anni vive in condizioni disastrose.
L’inizio della guerra civile risale alla Primavera Araba del 2011, quando Hadi spodestò il presidente Saleh, ma gli scontri iniziarono nel 2014, quando il movimento musulmano sciita Houthi, fedele a Saleh, occupò la provincia settentrionale di Saada e l’area circostante, arrivando a conquistare la capitale Sanaa e costringendo il presidente Hadi all’esilio. Quando nel 2015 l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti ed altri sette paesi, per lo più arabi sunniti, sostenuti dalla comunità internazionale, attaccarono quelle zone, però, la situazione è degenerata. La decisione di intervenire è stata causata dalla convinzione che l’Iran sostenesse militarmente i ribelli Houthi, anche se il paese ha sempre declinato questa accusa. Nel quadro storico-culturale, perciò, questa guerra rientra nel conflitto più generale tra sciiti e sunniti nell’area mediorientale.
Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, che hanno accolto positivamente il cambio al vertice in Yemen, hanno messo a disposizione un pacchetto di aiuti da tre miliardi di dollari per l’economia yemenita. Il 1° maggio, al contempo, è stato stilato dall’Arabia Saudita un elenco di 175 leader Houthi ricercati, su cui incombe una taglia di 450 milioni di dollari per chi fornisce informazioni a riguardo. Dietro l’apparente volontà pacifica, quindi, si celano sempre mosse militari che in realtà ostacolano la pace. Il 10 maggio è infatti giunta la notizia della volontà da parte dell’Arabia Saudita di annettere una serie di province yemenite ricche di risorse. D’altra parte, il pacchetto di tre miliardi potrebbe essere utile per contenere la crisi monetaria e umanitaria nel paese, ma non risolverebbe i problemi più strutturali. Un ricercatore dello Yemen Policy Center, Raiman al-Hamdani, ha definito il consiglio presidenziale come un gruppo di attori vanamente uniti da affiliazioni geopolitiche, che non rappresenta la varietà politica dei protagonisti regionali yemeniti. Sarà necessario, al contrario, riunire gli interessi di tutte le fazioni se l’obiettivo di fondo è realmente la pace e un futuro prosperoso per lo Yemen. Nel frattempo il popolo yemenita continua soffrire la fame e i disagi causati dalla guerra. La debole speranza di pace preannunciata in questi giorni, andrebbe incoraggiata.
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