Di Fabio Casalini

Giuseppe Pellizza nacque a Volpedo il 28 luglio del 1868, da Pietro e da Maddalena Cantù, in un’agiata famiglia contadina. Apprese i primi rudimenti del disegno grazie alla frequentazione della scuola tecnica di Castelnuovo Scrivia. L’agiatezza della famiglia unita alle conoscenze acquisite grazie alla commercializzazione dei prodotti della terra, permisero al giovane Giuseppe la frequentazione dell’Accademia di Belle Arti di Brera.Presso la prestigiosa scuola milanese fu allievo di Giuseppe Bertini, pittore e docente italiano del movimento romantico e verista. Bertini fu docente e direttore dell’accademia di Belle Arti di Brera e primo direttore del Museo Poldi Pezzoli di Milano. Contemporaneamente ricevette lezioni private dal pittore Giuseppe Puricelli. Espose per la prima volta a Brera nel 1885. Alla fine del percorso di studi milanese, Pellizza proseguì il tirocinio formativo presso l’Accademia di San Luca a Roma. In seguito decise d’iscriversi alla scuola libera di nudo dell’Accademia di Francia a Villa Medici.Deluso da Roma decise di trasferirsi a Firenze, dove frequentò la scuola di Belle Arti come allievo di Giovanni Fattori, considerato tra i maggiori pittori italiani dell’Ottocento e tra i principali esponenti del movimento dei Macchiaioli. Alla fine dell’anno accademico tornò a Volpedo allo scopo di dedicarsi alla pittura verista attraverso lo studio della natura. Non ancora soddisfatto della preparazione raggiunta decise di recarsi a Bergamo per frequentare l’Accademia Carrara, dove seguì i corsi di Cesare Tallone. Perfezionò ulteriormente la propria preparazione recandosi all’accademia Ligustica di Genova. Al termine di quest’ultimo tirocinio fece ritorno a Volpedo. Nel 1892 sposò una ragazza del luogo, Teresa Bidone. Nello stesso anno appose per la prima volta “da Volpedo” alla propria firma in calce alle opere. Negli anni seguenti Giuseppe Pellizza adottò il divisionismo, tecnica basata sulla divisione dei colori attraverso l’utilizzo di piccoli punti o tratti. Si confrontò con diversi pittori che utilizzavano questa tecnica, da Segantini a Morbelli, da Longoni a Nomellini.Nel 1891, esponendo alla Triennale di Milano, si fece conoscere dal grande pubblico. Continuò ad esporre in giro per l’Italia sino al 1901, anno in cui portò a termine il Quarto Stato, a cui aveva dedicato dieci anni di studi. L’opera fu esposta l’anno successivo alla Quadriennale di Torino ma non ottenne il successo sperato, scatenando polemiche presso molti dei suoi amici.La genesi dell’opera il Quarto Stato fu lunga e complessa. Il Quarto Stato è un’espressione introdotta durante la Rivoluzione francese da alcuni esponenti delle correnti più radicali per designare gli strati popolari subalterni, in contrapposizione alla borghesia (il terzo stato); con lo sviluppo del movimento operaio, la locuzione è stata adoperata, soprattutto nel secolo XIX e nei primi decenni del Novecento, per indicare il proletariato.Pellizza iniziò a lavorare ad un bozzetto chiamato gli Ambasciatori della famenel 1891 dopo aver assistito ad una manifestazione di protesta di un gruppo di operai. Il pittore rimase molto impressionato dalla scena tanto da annotare in un diario le seguenti parole:la questione sociale s’impone; molti si son dedicati ad essa e studiano alacremente per risolverla. Anche l’arte non deve essere estranea a questo movimento verso una meta che è ancora un’incognita ma che pure si intuisce dover essere migliore rispetto alle condizioni presenti.Numerose furono le opere intermediarie tra il primo bozzetto degli Ambasciatori della fame e la Fiumana. L’ultima tappa di questo percorso fu la versione degli ambasciatori del 1895 sotto forma di disegno carboncino e gesso. Scrisse Pellizza: Gli ambasciatori sono due si avanzon seri sulla piazzetta verso il palazzo del signor che proietta l’ombra ai loro piedi […] si avanza la fame coi i suoi atteggiamenti molteplici – Son uomini, donne, vecchi, bambini: affamati tutti che vengono a reclamare ciò che di diritto – sereni e calmi, del resto, come chi sa di domandare né più né meno di quel che gli spetta – essi hanno sofferto assai, è giunta l’ora del riscatto, così pensano e non vogliono ottenere colla forza, ma colla ragione – qualcuno potrà alzare il pugno in atto di minaccia ma la folla non è, con lui, essa fida nei suoi ambasciatori – gli uomini intelligenti […] Una donna accorso mostra il macilento bambino, un’altra, una terza, è per terra che tenta invano di allattare il bambino sfinito colle mammelle sterili – un’altra chiama impreca.Il capolavoro a poco a poco prese forma. Pellizza, prima di dipingere la grande tela della Fiumana, decise di realizzarne uno studio preliminare. Rispetto agli Ambasciatori della Fame questa tela rappresenta un punto di rottura poiché in quest’opera la massa di gente è vastissima, tale da formare una fiumana umana, come suggerito dal titolo stesso del dipinto.Nel 1898 un avvenimento sconvolse l’Italia ed il pensiero di Giuseppe Pellizza da Volpedo: l’inutile strage di Milano.Nella città meneghina, in seguito all’aumento del prezzo della farina e del pane, il popolo decise di insorgere assaltando i forni per la produzione del pane. In tutta la Lombardia la situazione economica era talmente grave da convincere circa 500.000 persone ad emigrare, nei soli primi cinquant’anni dall’Unità d’Italia. Gli eventi di Milano, passati alla storia come la Rivolta dello stomaco, durarono dal 6 al 9 maggio. La sommossa del popolo fu repressa nel sangue dall’esercito comandato dal generale Bava-Beccaris. Secondo la versione ufficiale si contarono 80 vittime, testimoni oculari parlarono di almeno 300 morti, tra questi molti mendicanti che si trovavano in fila per ricevere un piatto di minestra dai frati di Via Manforte. Su queste inermi persone il generale Bava-Beccaris decise di sparare con il cannone. In seguito a queste eroiche gesta, il generale fu insignito con la croce di Grande Ufficiale dall’ordine Militare dei Savoia. Un mese dopo i fatti di Milano, il Re, che troverà la morte per mano di Gaetano Bresci, Umberto I nominò senatore il coraggioso generale.Giuseppe Pellizza decise di modificare l’opera, rendendo la fiumana umana più tumultuosa. Nel 1898 stese il cammino dei lavoratori, bozzetto propedeutico alla realizzazione finale. Pellizza entrò nella tempesta socio-proletaria che sconvolgeva il nostro paese con un’opera che resisterà ai cambiamenti economici e politici dell’Italia. La stesura del cammino dei lavoratori richiese circa tre anni. Solo nel 1901 la grande tela soddisfò l’autore che decise di darle un nuovo titolo: il Quarto stato.Come possiamo leggere nelle pagine del libro Il quarto stato di Aurora Scotti, la tela raffigura un gruppo di braccianti che marcia in segno di protesta in una piazza, presumibilmente quella Malaspina di Volpedo. L’avanzare del corteo non è violento, bensì lento e sicuro, a suggerire un’inevitabile sensazione di vittoria: era proprio nelle intenzioni del Pellizza dare vita ad «una massa di popolo, di lavoratori della terra, i quali intelligenti, forti, robusti, uniti, s’avanzano come fiumana travolgente ogni ostacolo che si frappone per raggiungere luogo ov’ella trova equilibrio».Il quarto stato fu mostrato per la prima volta al pubblico durante la Quadriennale di Torino del 1902. L’opera non ottenne riconoscimenti e non fu acquistata da nessun museo, come era nelle aspettative dell’autore per sistemare la situazione economica disastrosa nella quale era caduto. Il successo presso il pubblico iniziò grazie alla stampa socialista. Nonostante la censura della critica, l’opera fu stampata in una importante rivista milanese. Trovò ampio spazio nei periodici socialisti come L’avanguardia socialista e l’Avanti!.Nel frattempo, deluso dal loro comportamento, abbandonò le relazioni con artisti e scrittori della sua epoca. Nel 1906 fu chiamato a Roma dove riuscì a vendere allo Stato una sua opera destinata alla Galleria di Arte Moderna. L’improvvisa morte della moglie gettò Pellizza in una profonda crisi depressiva. Il 14 giugno del 1906 si suicidò impiccandosi nel suo studio di Volpedo, non ancora quarantenne.

➡️Bibliografia

Carlo Pirovano (a cura di), La pittura italiana. Il Novecento, Milano, Electa, 1991Davide Lacagnina, Pellizza da Volpedo Giuseppe, in Dizionario biografico degli italiani, volume

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