In un post su Facebook, l’esercito ha ordinato ai combattenti civili di recarsi al comando o all’unità militare più vicina.
Il possibile reclutamento di civili, che potrebbe aggravare violenze già mortali, è oggetto di dibattito da settimane.
In un discorso del 27 giugno, Al-Burhan ha affermato che “tutti gli uomini giovani e capaci dovrebbero arruolarsi”. Non è chiaro se la sua ultima chiamata alle armi sia stata una coscrizione forzata.
Violenza etnica
L’annuncio di lunedì arriva tra un rinnovato fuoco di artiglieria a Khartoum durante il fine settimana, mentre il conflitto tra l’esercito e le forze paramilitari di supporto rapido, guidate da Mohamed Hamdane Dagalo (o Hemedti), raggiunge la sua dodicesima settimana.
Da quando è iniziata il 15 aprile, la guerra ha provocato quasi 3000 morti e 2,8 milioni di rifugiati e sfollati.
Nel Darfur, nell’ovest del Sudan, la violenza ha assunto “dimensioni etniche” secondo le Nazioni Unite.
Civili armati hanno già partecipato ai combattimenti in Darfur, con il governatore della regione, Minni Minnawi, ex leader ribelle ormai vicino all’esercito, che ha invitato i civili a imbracciare le armi a maggio.
Sofferenza civile
Le Nazioni Unite ritengono che gli atti di violenza in Darfur, commessi principalmente dalle RSF e dalle milizie arabe alleate contro civili non arabi, possano costituire “crimini contro l’umanità”.
Le RSF, le cui truppe provengono in gran parte dal Sudan occidentale, sono state accusate della maggior parte dei casi di violenza sessuale e di “furto” di case, lasciando che i loro abitanti ingrossassero le fila degli sfollati.
Domenica, in mezzo a un’ondata di video sui social media che mostrano soldati paramilitari che costringono i civili a scendere dai loro veicoli, le RSF hanno annunciato che puniranno “saccheggi, atti di vandalismo e soprattutto il furto di auto di civili”.
Le organizzazioni umanitarie sono particolarmente preoccupate per la condizione dei bambini, oltre 13,6 milioni dei quali, secondo l’Unicef, necessitano di aiuti umanitari e 300.000 a rischio di fame.
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