«L’adesione della popolazione di Sanremo al clima di rinnovamento spirituale determinato dalla Controriforma appare inoltre ulteriormente confermata dal numero molto elevato di lasciti che singoli cittadini destinarono all’istituzione di nuove cappellanie soprattutto nella chiesa di San Siro, la cui canonica venne ampliata nel 1606 in seguito alla fondazione di nuovi canonicati. La stessa collegiata risultava già a metà del Cinquecento non più sufficiente a contenere tutti i fedeli, mentre la comunità reclamava l’istituzione di una parrocchia nel quartiere della Pigna, particolarmente scomoda da raggiungere soprattutto per i sacerdoti che dovevano somministrare l’estrema unzione ai moribondi. Pertanto fin dal 1601 gli amministratori comunali avevano chiesto alle superiori autorità ecclesiastiche di elevare a parrocchia qualche altra chiesa, tra le quali circolavano i nomi di quelle di Santo Stefano e di San Costanzo, ottenendo però soltanto qualche decennio dopo dal vescovo di Albenga Giovanni Pinelli il permesso, concesso il 30 aprile 1667, di conservare il Santissimo Sacramento e l’Olio Santo nell’oratorio di Santa Brigida, nonché l’autorizzazione a somministrare questi sacramenti in casi di urgenza da parte di un curato. Negli stessi anni molti privati cittadini pii e benestanti si attivarono in collaborazione con le autorità comunali per accogliere in città nuovi ordini religiosi. La particolare devozione degli abitanti per la figura di San Francesco e dell’Ordine francescano permise fin dal 1578 l’insediamento a Sanremo di una comunità di frati Cappuccini. Incontrò invece maggiori difficoltà la venuta in città dei Gesuiti, che divenne realizzabile soltanto quando furono rese note le ultime volontà del prete sanremese Alessandro De Bernardi, il quale, con testamento stilato nel maggio 1613, aveva donato tutti i suoi beni al Collegio gesuitico di Genova al fine di istituire una residenza dei Gesuiti nella città matuziana» – racconta lo storico sanremese Andrea Gandolfo.
«Prima di stabilirsi a Sanremo, i Gesuiti dovettero peraltro affrontare anche l’ostilità degli abitanti e degli altri ordini religiosi già presenti in città, che erano nettamente contrari al loro arrivo, tanto che, quando i primi due Gesuiti giunsero nel 1615 a Sanremo, il Senato genovese, su richiesta delle autorità locali che temevano il sorgere di disordini causati dalla loro presenza, emanò un decreto che costrinse i due padri a ritornare a Genova. Pochi anni dopo intervenne però un fatto nuovo che aprì la strada all’istituzione di una comunità gesuitica a Sanremo: il prevosto Sasso rassegnò al papa la carica di rettore di Santo Stefano, chiedendo che i resti dell’antica chiesa e l’area dove era appena iniziata la costruzione del nuovo edificio venissero affidati ai Gesuiti. Il papa Gregorio XV diede quindi il suo assenso per la parte ecclesiastica con bolla emanata il 21 aprile 1622, mentre il Senato genovese diede anch’esso risposta favorevole per la parte amministrativa con lettera del 20 febbraio 1623. Ottenuta così l’approvazione ecclesiastica e quella civile i Gesuiti si insediarono subito dopo nella chiesa di Santo Stefano interessandosi attivamente alla continuazione dei lavori di ricostruzione e ristrutturazione della chiesa. Non avendo però ottenuto dal Comune i necessari finanziamenti per i lavori di ricostruzione, i padri Gesuiti abbandonarono per protesta Sanremo nell’aprile 1644. Constatata in seguito la volontà delle autorità comunali sanremesi di contribuire realmente al finanziamento dei lavori, i Gesuiti tornarono a Sanremo nei primi mesi del 1647 reinstallandosi nella chiesa di Santo Stefano e riprendendo la consueta attività religiosa e didattica» – fa sapere lo storico sanremese Andrea Gandolfo.
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