Il 2021 doveva essere l’anno dei cambiamenti, della ricostruzione di un mondo migliore, ma è stato invece segnato dall’ingiustizia. A rilevarlo Amnesty International che, il 1 aprile ha pubblicato il nuovo rapporto sui diritti umani per il 2021 e 2022.
Alcuni governi hanno effettuato espulsioni illegali: Amnesty International ha documentato accuse attendibili relative a rifugiati e migranti rimpatriati illegalmente nei loro paesi d’origine o rimandati indietro alle frontiere in almeno 48 dei 154 paesi monitorati nel 2021.
Anche prima della crisi generata dal Covid-19, le Americhe erano la regione più iniqua al mondo in termini di disuguaglianza tra i redditi. Secondo la Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi (Economic Commission for Latin America and the Caribbean – Eclac) delle Nazioni Unite, il tasso medio di disoccupazione tra le donne nella regione era del 12,7 per cento, rispetto al 9,7 per cento registrato tra gli uomini.
Le misure adottate per proteggere donne e ragazze si sono dimostrate inadeguate in tutta la regione e le indagini riguardanti casi di violenza di genere sono state spesso caratterizzate da irregolarità. In Messico, ad esempio, la violenza contro le donne è rimasta un fenomeno dilagante. In Colombia, dove l’Osservatorio colombiano sui femminicidi ha registrato 432 femminicidi nei primi otto mesi dell’anno, le forze di sicurezza hanno regolarmente commesso atti di violenza sessuale contro donne. Sia Paraguay che Portorico hanno dichiarato lo stato d’emergenza a causa dell’impennata di violenza contro le donne.
Nonostante la storica decisione con cui verso fine 2020 l’Argentina aveva depenalizzato e legalizzato l’aborto fino alle prime 14 settimane di gravidanza, altri paesi non hanno seguito l’esempio. In Cile, una proposta di legge che avrebbe depenalizzato l’aborto entro le prime 14 settimane di gravidanza è stata respinta. In Colombia, la Corte costituzionale non è riuscita a emettere un giudizio in merito a un ricorso presentato dalla coalizione di Ong Causa Justa, che chiedeva la depenalizzazione dell’aborto. Nella Repubblica Dominicana e in El Salvador i tentativi di depenalizzare l’aborto autorizzandolo in limitatissime circostanze non hanno ottenuto l’approvazione delle rispettive assemblee legislative. In Honduras, a gennaio, il congresso ha approvato una riforma costituzionale che rende più difficile l’eliminazione dei divieti sull’aborto e sul matrimonio omosessuale, anche se, a fine anno, era ancora all’esame della Corte suprema di giustizia un ricorso costituzionale contro il divieto d’aborto in tutte le circostanze. Negli Usa, durante il 2021 i governi statali hanno emanato una quantità senza precedenti di provvedimenti restrittivi contro l’aborto.
Anche le popolazioni native delle Americhe hanno continuato a subire gli effetti dell’inadeguato esercizio di alcuni loro diritti. Particolarmente grave la situazione in Argentina, Brasile, Bolivia, Canada, Colombia, Ecuador, Nicaragua, Paraguay e Venezuela. In Brasile, le popolazioni native non sono state protette dalle invasioni dei loro territori, dalla deforestazione e dalle attività minerarie.
In molti paesi, tra cui Messico, Guatemala, Honduras, Paraguay, Perù e Venezuela, i governi hanno continuato a permettere grossi progetti estrattivi, agroindustriali e infrastrutturali, senza ottenere il consenso delle popolazioni. In Bolivia, Cile, Colombia, Nicaragua, Paraguay e Perù, membri di comunità native sono stati feriti o uccisi dalle forze di sicurezza o da civili armati, nel corso di attacchi violenti e sparatorie. In Canada, sono stati localizzati i resti centinaia di bambini nativi sepolti presso ex collegi scolastici, fondati dal governo canadese e amministrati dalle chiese locali.
Il diritto alla libertà d’espressione, associazione e riunione è finito sotto attacco in diversi paesi della regione. Giornalisti e persone critiche verso il governo hanno subìto intimidazioni, vessazioni, minacce, forme di censura, azioni penali o diniego d’accesso alle informazioni della pubblica amministrazione in paesi come Brasile, Canada, Cuba, El Salvador, Guatemala, Messico, Nicaragua, Uruguay e Venezuela. In Colombia, la Fondazione per la libertà di stampa ha riportato 402 attacchi agli organi di stampa che coprivano le proteste sociali.
Il ricorso all’uso eccessivo della forza per reprimere le proteste ha accomunato molti paesi, tra cui Argentina, Cile, Colombia, Honduras, Messico, Paraguay, Portorico e Venezuela. Casi di detenzioni arbitrarie sono stati riportati in molti paesi, tra cui Colombia, Cuba, Messico, Nicaragua, Venezuela e nella base navale statunitense di Guantánamo Bay.
Poco si muove anche sul fronte del cambiamento climatico. L’accordo di Escazú è finalmente entrato in vigore ad aprile ma non è servito a fermare la distruzione ambientale in atto. Le Americhe sono rimaste una delle regioni più pericolose al mondo per chi difende i diritti i diritti ambientali e umani. I difensori dei diritti umani sono stati vittime di omicidi in vari paesi della regione, tra cui Brasile, Colombia, Guatemala, Haiti, Honduras, Messico, Perù e Venezuela. Secondo il Centro per i difensori dei diritti umani e la giustizia, nel 2021 ci sono stati 743 attacchi contro attivisti, con un aumento del 145 per cento rispetto al 2020.
I civili hanno continuato a pagare il prezzo dei conflitti armati in Africa. In Burkina Faso, Camerun, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Mali, Mozambico, Niger, Nigeria, Somalia e Sud Sudan, le parti in conflitto hanno commesso crimini di guerra e altre gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e delle norme sui diritti umani. Ogni conflitto della regione è stato contrassegnato da attacchi deliberati contro i civili e le infrastrutture civili. Quasi tutti gli attori coinvolti nei conflitti armati dell’Africa hanno utilizzato la violenza sessuale come tattica di guerra. Un’altra tattica di guerra utilizzata in alcuni conflitti consisteva nel bloccare o limitare l’accesso agli aiuti umanitari. Nei paesi colpiti dal conflitto, i bambini hanno incontrato difficoltà quasi insormontabili nell’accesso all’istruzione. In Burkina Faso, Camerun e Niger, Boko Haram, Gsim, Isgs e altri gruppi armati hanno continuato a vietare la cosiddetta “istruzione occidentale” e hanno commesso crimini di guerra attaccando le scuole.
I conflitti che divampavano nella regione hanno continuato a costringere milioni di persone a sfollare dalle loro abitazioni. Gran parte dei rifugiati della regione è ospitata in un esiguo numero di paesi, tra cui Camerun, Ciad, Drc, Etiopia, Kenya, Niger, Ruanda e Sudan, mentre l’Uganda aveva la più vasta popolazione di rifugiati di tutta l’Africa, con oltre 1,5 milioni di persone. Paradossalmente, alcuni dei paesi ospitanti, come Drc ed Etiopia, hanno prodotto a loro volta enormi flussi di rifugiati.
Sul fronte pandemico gli sforzi intrapresi dai governi per arginare l’ondata di Covid-19 sono stati ostacolati dalle disuguaglianze globali nella distribuzione dei vaccini, create dalle aziende farmaceutiche e dalle nazioni ricche. A fine 2021, era stato completamente vaccinato meno dell’otto per cento degli 1,2miliardi di abitanti del continente. La pandemia ha determinato la chiusura delle scuole e l’interruzione delle lezioni, rendendo ancora più complicato l’accesso all’istruzione.
Anche nel 2021, inoltre, le misure di contenimento della diffusione del Covid-19 sono state sfruttate dai governi come giustificazione per reprimere il diritto al dissenso e altre libertà. Il primo istinto di molti governi è stato vietare le proteste pacifiche, citando preoccupazioni sanitarie e di sicurezza, come ad esempio è avvenuto in Camerun, Ciad e Costa d’Avorio. In modo del tutto simile, in paesi come Eswatini e Sud Sudan, gli organizzatori sono stati arrestati in anticipo e l’accesso a Internet è stato bloccato, in quello che è parso un tentativo di far deragliare le proteste programmate. In oltre 12 paesi, tra cui Angola, Benin, Ciad, Eswatini, Guinea, Nigeria, Sierra Leone e Sudan, molte morti sono state causate dalle forze di sicurezza.
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