“Se lo smart working diventasse strutturale, sarebbe una vera e propria rivoluzione nel modo di vivere il lavoro e la città, che coinvolgerebbe 6,2 milioni di lavoratori e ‘cancellerebbe’ dalle strade 4,9 milioni di passeggeri di mezzi privati o pubblici al giorno. Una rivoluzione però da gestire, perché avrebbe un impatto profondo ma asimmetrico sulle imprese: da un lato porterebbe il sistema imprenditoriale a risparmiare 12,5 miliardi l’anno, dall’altro farebbe perdere fatturato alle attività della ristorazione, del commercio, del turismo e dei trasporti, in particolare nei capoluoghi e nei grandi centri urbani”.
Lo smart working influisce sulle abitudini di consumo e sulla tipologia di spesa per la famiglia. Chi lavora da remoto spende di più per la tecnologia per lavorare da casa; di meno per la cura della persona e per l’abbigliamento; inoltre, consuma un minor numero di pasti fuori, utilizza meno i trasporti e le attività ricettive ma allo stesso tempo aumenta la spesa per prodotti alimentari e utenze domestiche. Il bilancio tra maggiori e minori consumi, però è negativo: se diventasse strutturale, lo smart working porterebbe le famiglie a spendere 9,8 miliardi di euro l’anno in meno rispetto ai livelli pre-pandemia.
La riduzione di personale in presenza può portare un sensibile risparmio per le imprese, dai costi sostenuti per l’acquisto e gli affitti dei locali a quelli del consumo di energia elettrica e gas (RISPARMIO IMPORTANTE VISTO LA CRISI ENERGETICA) di trasporto e spostamento e tutto l’insieme dei costi indiretti.
Con uno smart working strutturale diffuso, a rimetterci sarebbero soprattutto le grandi città che hanno attività di terziario avanzato, sia amministrativo che di servizi alle imprese. Per queste centri si potrebbe assistere ad una ripresa del turismo vacanziero ma ad una flessione strutturale dei flussi di tipo lavorativo: le città più abitate sono anche quelle che hanno più attività che si possono fare da remoto (circa il 45%), mentre nelle città più piccole questa percentuale si attesta intorno al 20%. Tra gli effetti positivi ci sarebbe la riduzione dell’inquinamento: circa 4,9 milioni di lavoratori al giorno non si sposterebbero più da casa. Di questi 1 milione utilizzano un mezzo di trasporto pubblico, mentre 3,9 milioni un mezzo privato, auto o moto.
Un’altro degli effetti dello smart working è la fuga dai grandi centri urbani. Il 60% degli agenti immobiliari segnala la tendenza a cercare abitazioni più spaziose, che si trovano a condizioni di mercato favorevoli soprattutto fuori dai centri storici. Una tendenza, sottolinea Confesercenti, che potrebbe avere ricadute significative sul mercato immobiliare: lo smart working strutturale potrebbe ridurre del 10% il differenziale medio dei prezzi centro-periferia.
Nel PNRR sono stati già tutti “prenotati” i 3,4 miliardi di euro per progetti di rigenerazione urbana. Andrebbe aperta, però, una riflessione sul tipo di rigenerazione che si sta affermando spontaneamente e che sta provocando una redistribuzione di attività tra diverse zone della città.
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