Un sondaggio compiuto dall’Istituto SWG di Trieste registra un crollo della fiducia degli italiani nell’Unione europea e le sue istituzioni compresa la Banca centrale europea, che passa da un 42 % del 2019 al 27 % di questi giorni.

Non va negato che l’Unione europea all’inizio ha titubato, spiazzata da una crisi alla quale nessuno era preparato; ma davvero staremmo meglio fuori dall’Europa e dall’Euro?

C’è chi vende soluzioni facile e nemici comuni per tirare su un po’ di voti e spadroneggiare nei talk show. Matteo Salvini, ex ministro degli interni e pretendente Premier della coalizione delle destre (mi rifiuto di chiamarlo centro-destra perché di centrista non ha nulla) ad inizio aprile presentava in un’intervista al Corriere della Sera, la sua soluzione per la crisi economica che tocca e toccherà l’Italia: «che si stampasse moneta. La Svizzera, compilando un foglio, ti mette a disposizione fino a 500mila euro, la Gran Bretagna ti garantisce fino all’80% dello stipendio, gli Usa destinano fino a 2.000 euro a famiglia. Loro possono farlo. Noi no, perché abbiamo l’euro. E, mi faccia dire, anche questa Europa. (…) Per esempio ciò che oggi non si può fare. E cioè, un’emissione di titoli italiani con un tasso di vantaggio. Oggi, l’Ue non lo permette.».

Certo, è vero che un governo che ha il controllo sulla banca centrale del proprio paese, può decidere di coprire i propri bisogni vendendo alla banca centrale i propri titoli e imponendole di stampare moneta per finanziarne l’acquisto, in questo modo non dovrà pagare interessi. Ma se è così semplice perché la Gran Bretagna, la Svizzera o gli Stati Uniti non lo fanno (nonostante quello che dice Salvini? Perché monetizzare il debito indebolisce il valore della propria moneta e innesca un meccanismo di inflazione cioè di aumento dei prezzi anche di prima necessità. È quello che è successo in Italia tra il 1973 e il 1984 e in Argentina a varie riprese. Quindi quello che Salvini propone è di fatto di abbassare il potere d’acquisto delle famiglie, dei lavoratori, dei pensionati ma anche delle imprese che acquistano materie prime all’estero e perdono in competitività. Si tratta di fatto di una sorta tasse, un po’ come se si aumentasse l’IVA, tutti la pagano ma chi la subisce di più sono le fasce più deboli della popolazione.

Certo stampare moneta nel breve periodo può avere effetti positivi che potrebbero quindi giovare a Salvini da un punto di vista elettorale ma sul medio e lungo periodo, questa politica ha effetti disastrosi perché indebolisce le finanze pubbliche e l’Italia proprio non se lo può permettere avendo un debito già molto alto.

Quando poi Salvini parla di “emissione di titoli italiani con un tasso di vantaggio” le opzioni sono due: o non sa di cosa parla o ci sta prendendo per i fondelli. Il debito sovrano italiano è stato degradato da Fitch al ranking BBB- cioè una categoria in più dei cosiddetti « junk bonds » (titoli ad alto rischio). Tradotto significa che i mercati hanno dei seri dubbi sulla capacità dell’Italia a rimborsare il proprio debito e quindi se accettano di prestare lo fanno a tassi molto alti. Lo scudo della BCE da 750 miliardi di euro, di cui 240 per l’Italia è di fatto un vasto piano di acquisto di titoli del debito italiano cha ha permesso di proteggere il debito italiano evitandogli di cadere nella categoria “speculativa” che avrebbe potuto portare al fallimento del nostro paese.

Quando invece l’Italia prende in prestito sui mercati insieme agli altri paesi della zona euro (come per i 100 miliardi del programma SURE che ha vocazione a finanziare la cassa integrazione), lo fa ad un ranking AAA, i tassi di interesse sono quindi molto più bassi e gravano molto meno sulla salute delle finanze pubbliche della penisola.

La Commissione europea ha calcolato che dall’inizio della crisi, sono stati mobilizzati 1451 miliardi a livello europeo, per rispondere alla crisi economica post crisi sanitaria. Nel rapporto presentato dalla Commissione appare chiaro come nessun paese europeo avrebbe potuto cavarsela da solo e ancor meno l’Italia. Gli economisti della Commissione indicano che da sola la Germania avrebbe potuto fare un piano economico pari al 55% di quello comunitario, la Francia del 20% e l’Italia soltanto del 10%…

Se è scellerato pensare di tornare alla Lira e stampare moneta, non si può negare che lo status quo non è soddisfacente. L’euro non ha favorito la convergenza fra le economie europee, il PIL per abitante della zona euro è sempre meno omogeneo. L’euro è stato una manna per l’economia tedesca, austriaca e olandese, mentre le economie dell’Europa del sud, stanno rimanendo indietro tanto da far pensare che l’euro negli anni potrebbe non reggere.

In una zona monetaria che funziona correttamente, quando una regione subisce una crisi, si svuota della forza lavoro che trasloca in zone dove c’è crescita e le altre regioni gli trasferiscono dei capitali. E quello che accade negli Stati-Uniti. La zona euro ha due problemi: la mobilità dei lavoratori avviene con più difficoltà a causa della barriera linguistica e i transfert dei capitali erano fino ad oggi quasi impensabili per mancanza di solidarietà delle economie avvantaggiate. La reticenza della Germania (diventata ormai il nemico pubblico numero uno nel nostro paese, ad ogni crisi il suo nemico, qualche mese fa era la Francia e Macron!) non è del tutto incomprensibile. La Germania ha ridotto il suo debito pubblico di 21 punti (81% nel 2012, 59% nel 2019) mentre l’Italia l’ha ridotto di meno del 2% durante i governi Renzi e Gentiloni per poi tornare a crescere. E il peggio è che il debito è tornato a salire per finanziare misure che non hanno portato crescita: quota 100 e reddito di cittadinanza.

Quello che però la classe dirigente tedesca e Angela Merkel in primis, deve capire, se non vuole compiere un errore storico da manuale, è che a differenza delle crisi precedenti, quella del COVID19 è una crisi sistemica, simmetrica e indipendente dalla buona o cattiva gestione dei governi nazionali. Quando si è costretti a stoppare l’economia per rallentare la contagione e per salvare la vita alle persone, non è la stessa cosa di quando si fanno o non si fanno riforme più o meno buone a seconda della classe dirigente dei singoli Stati.

Dei passi importanti sono stati fatti all’ultimo Consiglio europeo, che approvando SURE come strumento perenne per finanziare programmi di cassa integrazione in zone e settori toccati da crisi economiche, rappresenta di fatto una prima forma di transfert di capitali verso regioni e settori fra i più colpiti dalla crisi. Ma non c’è più tempo per i piccoli passi, urge la nascita di un budget della zona euro sufficientemente importante da permettere il transfert di capitali dalle economie più prospere verso quelle in rallentamento in modo da garantire l’omogeneità della zona euro e quindi la perennità della moneta unica.

Come lo ripete volentieri Mario Draghi, “data la debolezza dei singoli stati in un mondo globalizzato, è cruciale avere un’unione più forte e per avere un’unione economica e monetari più forte dovremmo avere un budget condiviso per l’Eurozona”.

Per approfondire: tabella che indica le decisioni prese a livello europeo dall’inizio della crisi ad oggi e i fondi mobilizzati.

F.to Caterina Avanza (pubblicato su il riformista)

Tags:

No responses yet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *